Sabato 3 luglio, 23:30
LECTURA DANTIS
con Flavio Albanese
per la rassegna
"Ad Libitum - La grande musica a Polignano"
Cala Ponte, Polignano
Flavio Albanese leggerà
alcuni fra canti più famosi dell’Inferno
il primo dei tre viaggi iniziatici
che con la guida di Virgilio lo condurrà
… a riveder le stelle.”
“Nel mezzo del cammin di nostra vita”
I canti che ho scelto sono in sequenza cronologica
fra i più espressivi e i più teatrali dell’intera cantica
e come la tradizione del teatro popolare ci insegna
saranno preceduti da una brevissima introduzione
in un passaggio da prosa a versi
che aiuterà i meno esperti
a comprendere l’intero canto
e godere della bellezza dei versi
come in un concerto.
“la gloria di colui che tutto move
per l’universo penetra, e risplende”
La bellezza musicale del verso
è lo strumento più delicato per un attore
perché se rispettato e “tradito” in giusta proporzione
riesce a trascendere il significato letterale
di quei passaggi più complessi e oscuri
trasformandoli in linguaggio emotivo e sonoro
in una sorta di Gramelot.
“per correr miglior acqua alza le vele
omai la navicella del mio ingegno
puro e disposto a salire a le stelle”
La condivisione di un poema come questo
è il nostro tentativo di cercare
per poi riconsegnare al pubblico
quelle mappe “mentali” dei sentimenti umani
che ci orientano nell’inferno purgatorio e paradiso
rivelandoci che cos’è l’amore che cos’è il dolore
che cosa sono la gioia e la tristezza,
l’illusione e la disillusione
la tragedia, la speranza.
“l’Amor che move il sole e l’altre stelle.”
Questo percorso
così semplice e complesso
parla a ogniuno di noi
di ognuno di noi.
Noi siamo Dante
ogni personaggio che lui incontra
e anche
quando guidati dall’Amore
siamo Virgilio e Beatrice.
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Canto I: nel mezzo del Cammin di nostra vita…
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Canto III: per me si va nella città dolente, Caronte…
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Canto V: Paolo e Francesca
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Canto X: Farinata, Cavalcante..
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Canto XIII: Arpie, bosco dei suicidi, Pier delle Vigne..
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Canto XXVI: Ulisse
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Canto XXXIII: Conte Ugolino
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Canto XXXIV: Lucifero
I sentimenti non li abbiamo per natura, ma per cultura.
Dedicare questo percorso Dantesco ad un pubblico ampio e in particolare ai giovani
nasce da una domanda ricorrente, a che serve studiare la poesia, la letteratura, la filosofia e i grandi maestri? Che utilità hanno questi studi nella vita di oggi e nel futuro?
Una riflessone del Prof. Galimberti sulla Pulsione e l’Istinto nelle nuove generazioni ha stimolato in noi queste riflessioni.
Sappiamo che, a differenza degli animali, gli uomini non hanno istinti, che sono risposte rigide a uno stimolo, ma solo pulsioni a “meta indeterminata” per cui, a una pulsione aggressiva, possiamo assegnare una meta che si esprime nella violenza, così come possiamo assegnargliene una che si traduce in una seria presa di posizione. Allo stesso modo, a una pulsione erotica possiamo assegnare una meta sessuale, così come possiamo sublimarla nella composizione poetica o in un’opera d’arte.
La mancata educazione delle pulsioni confina i ragazzi, già in tenera età, a esprimersi unicamente con i gesti, invece che con le parole e i ragionamenti. Ne sono un esempio i cosiddetti “bulli” o tutti quei giovani o meno giovani che compiono azioni riprovevoli senza la minima consapevolezza della loro gravità.
Kant dice che: “La differenza tra il bene e il male potremmo anche non definirla perché ciascuno la ‘sente’ naturalmente da sé”, ma nel caso del bullo questo “sentire” è deficitario, perché non ha mai incontrato momenti educativi che gli avrebbero consentito di avvertire quell’immediata risonanza emotiva che di solito accompagna i propri comportamenti. Alludo a quella risonanza emotiva che fin da bambini provavamo quando la nonna ci raccontava le fiabe o ci avvicinavamo alla letteratura, al mito o alla poesia.
Ascoltando quelle fiabe o accompagnati nella lettura dalle nostre mamme, imparavamo,
più per via emotiva che mentale, la differenza tra il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, il buono e il cattivo, acquisendo in tal modo un regolatore emotivo che ci consentiva di “sentire” quando le nostre azioni erano buone o cattive, giuste o ingiuste.
Se le pulsioni sono naturali, le emozioni invece sono in parte naturali in parte orientate dall’educazione.
Fin dall’origine dei tempi, infatti, le prime comunità, attraverso narrazioni, miti e riti, insegnavano la differenza tra il puro e l’impuro, il sacro e il profano con cui circoscrivere la sfera del bene e del male, creando schemi d’ordine capaci di orientare i membri della comunità nei propri comportamenti.
I Greci avevano rappresentato nell’Olimpo, a guisa di modello e di orientamento, tutti i sentimenti, le passioni e le virtù umane:
Zeus era il potere
Atena l’intelligenza
Afrodite la sessualità
Ares l’aggressività
Apollo la bellezza
Dioniso la follia.
Oggi abbiamo quel grandioso repertorio costituito dalla letteratura che ci insegna che cos’è l’amore in tutte le sue declinazioni, che cos’è il dolore in tutte le sue manifestazioni, che cosa sono la gioia, la tristezza, l’entusiasmo, la noia, la tragedia, la speranza, l’illusione, la malinconia, l’esaltazione.
Educati dalle pagine letterarie, disponiamo di mappe mentali che ci indicano, se non le vie d’uscita, le modalità per reggere quell’angoscia dell’imprevedibile che l’umanità conosce dal primo giorno in cui ha fatto la sua comparsa sulla terra, e che incessantemente ha cercato di contenere.
E questo è forse il senso di quella, neppur troppo enigmatica, espressione di Eschilo che dice: “Il dolore è un errore della mente”.
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